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La figlia unica

La figlia unica

di Guadalupe Nettel
[La Nuova Frontiera · 2020]

 

Come scappare da qualcosa che ci spaventa quando ce lo portiamo dentro? La figlia unica — pag. 70

Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio, così dice un antico proverbio Igbo. Non basta una famiglia, figuriamoci una mamma che può contare solo sulle proprie forze (perché la nostra società è “progettata in modo tale che siamo noi, e non gli uomini, a prenderci cura dei figli”, questo lo sappiamo bene).
Se un nido è tanto più sicuro quanto più è solido l’intreccio che lo tiene assieme, anche una mamma ha bisogno di fare rete con altre donne che la sostengano, l’aiutino ad accudire i figli, fungano da madri sostitute ogni volta che è necessario. La maternità è permeabile, molto più di quanto siamo soliti pensare, e non c’è niente di male nel chiedere aiuto.

Alina lo capisce molto presto, subito dopo la nascita di sua figlia Inés, affetta da una malattia rarissima e terribile. Si affida così alla bambinaia Marlene, trentenne che non può avere figli e dedica la propria vita a crescere quelli degli altri, donando loro “l’amore tranquillo e disinteressato, lieve e insieme intenso di chi non è costretto a rimanere”.
Lo capisce anche Laura – narratrice del romanzo – che considera la maternità “un errore irreparabile”, un’imposizione sociale alla quale non vuole piegarsi. Un confine invisibile la separa dall’amica Alina: “lei approvava la maternità come destino auspicabile per le donne, mentre io mi ero sottoposta a un’operazione per oppormi a essa” dice. Eppure le resta accanto e l’aiuta come può, anche nei momenti più bui, quando tutti quelli che “considerano la disgrazia una malattia contagiosa” si allontanano da lei. E inaspettatamente trova il modo per aiutare anche Doris, la sua vicina di casa, bersaglio quotidiano della rabbia del figlio.
Ma lo capisce, in età avanzata, anche la madre di Laura, che si unisce all’Alveare: un collettivo femminista che salva donne in situazioni di rischio, offrendo loro sostegno legale e psicologico, lezioni di autodifesa, aiuti per badare alla prole, “in un paese dove ogni giorno nove donne muoiono assassinate per ragioni di genere”.

In questo romanzo non ci sono madri buone o cattive, non ci sono donne stereotipate – angeli del focolare, vedove allegre, giovani e seducenti rovinafamiglie – anzi questi stereotipi sono tutti rovesciati. Le donne qui non si giudicano l’un l’altra, mettono da parte la competizione reciproca e decidono di collaborare, per il proprio bene, il bene delle altre, quello dei figli di tutte e, dunque, in fondo, dell’intera comunità.
Sono donne consapevoli, che compiono le proprie scelte di vita in autonomia e, così facendo, scoprono nuove possibilità di esistenza (lontane dai modelli imposti dalla società patriarcale) e in queste possibilità si riconoscono.

Ma La figlia unica non è solo un romanzo sulla sorellanza e la solidarietà femminile; sui tanti modi di essere madre e i tanti motivi per i quali non esserlo. È soprattutto un libro sulla fragilità dell’esistenza e sull’impossibilità di sfuggire al dolore. “Nessuna madre sa per quanto tempo vivranno i suoi figli. Esiste persino un modo di dire secondo cui sono soltanto in prestito”: metterli al mondo significa accettare di doversene separare, accettare che alcune cose – cose così importanti da cambiarci la vita – sfuggono al nostro controllo, accettare che “abbiamo i figli che abbiamo, non quelli che immaginavamo o quelli che ci sarebbe piaciuto avere” eppure li amiamo incondizionatamente, di un amore illogico, incomprensibile.
Del resto, “chi non si è tuffato in un amore abissale pur sapendo che non avrebbe avuto futuro, aggrappato a una speranza fragile come un filo d’erba?”

 

La figlia unica

Il libro

— La figlia unica di Guadalupe Nettel — 
in originale: La hija única (2020)
pubblicato in Italia da: La Nuova Frontiera (2020)
tradotto da: Federica Niola
in copertina: illustrazione di Alicia Baladan
prezzo: 16,90 €
pagine: 224
ISBN: 978-88-0623-657-1

La figlia unica


Leggilo se

hai concesso a te stesso di essere felice per cinque minuti, anche nella peggiore delle tragedie,
dopo la fine di una storia importante, hai preso il volo più economico per Katmandu e hai pellegrinato tra i monasteri buddisti,
concili il sonno con l’aiuto infallibile di Anna Karenina,
hai fatto una playlist per una persona che non avrebbe mai potuto ascoltarla,
credi nei presagi, nei tarocchi, nei riti per scacciare da una casa le presenze negative, quando hai l’influenza mangi aglio e fai i gargarismi con sale e timo.

Non leggerlo se

nutri una fiducia cieca verso la scienza e la medicina tradizionale,
per te la famiglia biologica è sacra,
non sei mai andatə al cinema da solə,
hai distrutto il nido di piccioni che hai trovato sul balcone,
quando la tua amica ha annunciato di essere incinta hai iniziato a guardarla in modo diverso.


Note

*Guadalupe Nettel è madre di due maschi avuti con l’ex marito, lo scrittore Gastón García Marinozzi.
*Il personaggio di Alina è ispirato ad Amelia Hinojosa, cara amica della scrittrice.
*Quando Amelia ha letto la prima bozza del romanzo l’ha trovata buona, ma un po’ noiosa. Perciò ha esortato l’autrice a romanzare e prendersi delle licenze rispetto alla versione reale dei fatti.


L’autrice

Difendo la bellezza del mostro, che per me incarna la bellezza più insolita e insospettata.

Guadalupe Nettel

Guadalupe Nettel è nata a Città del Messico nel 1973, con un neo bianco sulla cornea dell’occhio destro, e ha vissuto parte dell’infanzia in semicecità. È cresciuta nel distretto della Villa Olìmpica dove abitavano pochi messicani e molti uruguayani, argentini, cileni, fuggiti dalle dittature sudamericane. A undici anni si è trasferita con la madre e il fratello nella multietnica periferia di Aix-en-Provence. Nel 1994 è stata in Chiapas, dove ha conosciuto il subcomandante Marcos, ha sostenuto l’EZLN e ha contribuito a creare una biblioteca nella selva Lacandona. Dopo la laurea in Lettere presso l’Universidad Nacional Autónoma de México, ha conseguito il dottorato all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, con una tesi su Octavio Paz. A Barcellona ha frequentato circoli letterari, collaborato con varie riviste, tenuto laboratori di scrittura e lavorato come traduttrice. Per la sua carriera ha scelto di usare il cognome materno. Dal 2017 dirige la Revista de la Universidad de México e vive nel quartiere di Coyoacán.
In italiano sono stati tradotti per Einaudi Il corpo in cui sono nata (2014) e Quando finisce l’inverno (2016); per La Nuova Frontiera Bestiario sentimentale (2018) e Petali e altri racconti scomodi (2019).

 

 

Guadalupe Nettel

Sei dell’umore giusto per

Nel film La guerra è dichiarata, scritto e interpretato da Valérie Donzelli e Jérémie Elkaïm (diretto dalla stessa Donzelli), è raccontato il dramma realmente vissuto dalla coppia di attori. Quando hanno scoperto che il figlio piccolissimo aveva sviluppato un tumore al cervello, hanno dovuto intraprendere una guerra che richiedeva energia, forza e determinazione. Non c’era tempo per abbandonarsi al dolore, ma anzi era il momento di fare appello a tutta la loro forza e vivere, vivere, come mai prima…